In Russia con gli Alpini
Dicono che il cappello degli Alpini faccia parte della divisa degli Italiani. Il cappello con la penna identifica immediatamente un modo di essere ed è orgoglio di sempre e per sempre di chi lo indossa e di chi lo guarda. Ho percorso tanti itinerari, ho girato molto, sono stato più volte in Russia, ma con gli Alpini mi sono sempre emozionato. Nel cuore mi rimane il groviglio dei sentimenti del mio viaggio sul Don nel 1993. Più che un viaggio è stato un pellegrinaggio vissuto con 1300 persone, per lo più alpini o figli di alpini che volevano rivivere, o rivedere, o comprendere quello che il Corpo d’Armata Alpino aveva passato nell’inverno 1942/1943 sul Don , nella drammatica ritirata, nella battaglia di Nikolajewka. Altri volevano semplicemente volevano rendere omaggio a tutti gli alpini e tutti i soldati che sono stati gli eroi dignitosi e coraggiosi di quel tempo. Ho avuto l’onore di partecipare a questa impresa.
Parlare con i più vecchi tra i partecipanti, i reduci che realmente avevano vissuto quel tempo, non poteva lasciare indifferenti: ancora dopo 50 anni riuscivano a trasmettere l’orgoglio assieme al dolore dei fatti in cui erano stati protagonisti. Cosa avranno provato quelli che potevano dire “io c’ero” nel rivedere le isbe sparse nella campagna, ora un po’ più moderne, e quei campi che avevano attraversato coperti di neve, senza riparo, senza cibo, con un vestiario inadatto, nella morsa del gelo, feriti e sotto attacco. Questa rievocazione che definirei sentimentale, un viaggio alla memoria, è stata organizzata con voli speciali da Milano e Verona in aereo, e viaggiatori in camper. Vedere anche 100 camper, tutti in autocolonna lunga almeno 20 chilometri, partiti da Milano che per 6364 km attraversano i confini di Austria, Ungheria, Ucraina fino in Russia a Rossosch e Nikolajewka, è stata una sorpresa indimenticabile che si leggeva chiaramente negli occhi di chi incrociava la colonna, nei posti di confine: una lunghissima novità assoluta. Ottima l’organizzazione di piglio militare per i camper, gestita dagli Alpini stessi, con localizzazione dei posti di sosta, di ristoro e con autocisterne per i rifornimenti in corso di viaggio, con mezzi di supporto, ambulanza e meccanici, radio e operatori cinematografici, a ulteriore riprova dell’efficienza e della determinazione del Corpo Alpino e la sua disciplina. La popolazione locale in più occasioni ha dimostrato simpatia e stima per gli Alpini, qualche anziano del posto si ricordava di loro, un’orchestrina locale li ha accolti e qualche alpino ricordava di essersi salvato anche grazie al buon cuore di qualche contadina che aveva offerto un riparo o un pezzo di patata. Gli Alpini non si sono dimenticati di quelle popolazioni che li hanno aiutati. Hanno costruito un asilo a Rossosch sul Don, chiamandolo “Sorriso” perché fosse di utilità per gli abitanti del posto, con il motto “Ricordare i morti, pensando ai vivi”. Sono rimasto senza parole quando sulle rive del fiume Don qualche reduce ottantenne ha raccontato il suo vissuto, e mi sono commosso quando un alpino ha voluto immergere le gambe nella gelida acqua del fiume: quale tempesta emotiva lo ha spinto?
Quanta emozione quando il coro degli alpini intona le sue canzoni, e quale raccoglimento durante la preghiera dell’alpino. Un viaggio di soldati che amano e costruiscono la pace aiutando dove c’è bisogno di loro.