La Cina com’era
Sono ritornata in Cina dopo molti anni, ed ho capito che si è perso un mondo, che non esiste più, assolutamente diverso dalla Cina contemporanea. Ricordo un viaggio dei primi anni 80, con mia figlia ancora piccolina, guardata e osservata dai cinesi come un cosa “nuova”. Da poco era stato aperto agli italiani il turismo verso la Cina.
Gli alberghi non erano molti, soprattutto nelle zone più periferiche. Le strutture erano semplici, ma pulite, ed in ogni camera c’era una brocca d’acqua perché non sarebbe stato prudente per noi occidentali attingere all’acqua dei rubinetti. Il riscaldamento nelle stanze era una rarità.
Un viaggio comportava sempre la visita ad una Comune Popolare dove, in una grande sala riunioni, piuttosto spartana ma in grado di ospitare gli abitanti della Comune, a noi ospiti veniva illustrata l’organizzazione, lo scopo, la funzionalità della Comune stessa e si concludeva con uno spettacolino di canto o danza dei bimbi. Nella Comune, ciascun nucleo familiare aveva una abitazione. Ricordo una “passeggiata” sulla stradina sterrata e la visita all’abitazione di una famiglia: due genitori, un figlio, una nonna, una stanza, pochissime suppellettili, un tavolino, una sedia, un rialzo di circa 120 centimetri fatto in mattoni con sotto un varco per accendere il fuoco che serviva a riscaldare il piano superiore dove, su una specie di stuoia, tutta la famiglia andava a dormire, uno accanto all’altro. Le persone sono state gentilissime, il loro bimbo non ha accettato nemmeno una caramella offerta da mia figlia, ma la nonna ha staccato l’unica melagrana di uno striminzito alberello del loro “giardino” e l’ha offerta a mia figlia. Non potevo rifiutare tanta generosità da parte di chi non aveva nulla se non il tanto del suo cuore generoso.
E ricordo la marea di biciclette negli orari in cui la gente usciva dal lavoro, che si muoveva come un’onda nel traffico quasi inesistente di mezzi motorizzati. Ricordo i piccoli piedi delle donne più anziane, il loro passo incerto e guardandole con curiosità ripensavo alla loro sofferenza di bimbe sottoposte alla frattura di quattro dita che dovevano fondersi con la pianta del piede. Ricordo gli abiti di uomini e donne, quasi simili, di un coloro grigio come grigia a me sembrava la loro quotidianità. Ma poi mi stupivo vedendoli al mattino presto, così numerosi, a far la ginnastica obbligatoria ed esercizi di gigong negli slarghi e nelle piazze. Regredivo alla mia infanzia quando vedevo una mamma passare con una carrozzina o un passeggino di lamiera o ferro e molto usati, simili a quelli che potevano esistere da noi negli anni 50. E come madre mi chiedevo come le mamme locali non avessero timore che i loro bimbi prendessero freddo sul pancino, dal momento che i pantaloncini dei loro piccoli erano completamente aperti sul cavallo, niente pannolini. Niente autobus in città, ma solo camioncini stipati dai passeggeri sui pianali, e le biciclette “da trasporto” così cariche che a mala pena si distingueva il ciclista.
La Grande Muraglia era per molti chilometri perfettamente conservata, ma le toilette in vicinanza erano una successione aperta di una quindicina di buchi sul terreno, tutti in fila sotto una tettoia, niente sciacquone, ma un secchio d’acqua e un mestolo. La Città Proibita, con gli ingressi molto contingentati, dava veramente la sensazione di entrare in un mondo fuori dalla realtà, un mondo da film, per me difficile immaginarne prima l’esistenza. E per lasciare soddisfatto il turista il viaggio si concludeva sempre con una cena tipica cinese: un grande tavolo rotondo, dove i commensali devono guardarsi tutti, al centro un rialzo girevole dal quale ciascuno attinge alle varie portate tutte frazionate in bocconcini, da poter prelevare con i bastoncini, una varietà di sapori su erbe, pesci, funghi, carni, riso, circa 36 specialità diverse, dove la regina diventa l’anitra laccata, una squisitezza!
Tutto questo si è perso ormai, e mi rimane il pensiero di poter dire: io ho visto.