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Salar de Uyuni e lagune boliviane

20 Novembre 2024

I fuoristrada corrono veloci senza alzare polvere. Sembra di attraversare la luna e invece siamo sul fondo del preistorico lago Minchin che, trovandosi in mezzo ad un altopiano privo di sbocchi naturali, raccoglieva tutta l’acqua proveniente dalle montagne circostanti prosciugandosi quarantamila anni fa quando, a causa dell’elevata salinità, le sue acque evaporarono sotto i raggi del sole delle Ande. Ciò che lasciò, fu un’enorme crosta di sale che si estende su una superficie di oltre 11.000 chilometri quadrati a 3650 metri di altitudine sugli altipiani più a sud della Bolivia, vicini al confine con il Cile. Un paesaggio unico, formato da undici strati di sale con uno spessore che può arrivare fino a dieci metri. Si stimano complessivamente circa dieci miliardi di tonnellate di sale, un terzo delle riserve di litio dell’intero pianeta. Non ci sono ostacoli all’orizzonte ma bisogna comunque fare attenzione a non finire in qualche buca che con il sole accecante diventano invisibili. Un’antica leggenda narra di intere carovane inghiottite dagli Ojos de Salar, gli occhi del deserto di sale.

Come un miraggio, improvvisamente appare un’isola solitaria ergersi in mezzo al nulla. Misteriosamente chiamata Isla del Pescado è una formazione di sedimenti calcarei e materiale di origine vulcanica. Con molta probabilità il suo nome nasce dalla forma particolare che si delinea durante la stagione delle piogge quando il deserto si trasforma in uno specchio e sembra appaia il profilo di un pesce. Sulla sua superficie grazie ad un terreno particolarmente fertile crescono grandi cactus centenari che superano i dieci metri di altezza, in mezzo a piante erbacee e licheni. Come soldati in parata si piegano tutti dalla stessa parte, rivolti verso il sole, crescono da pochi centimetri fino a quasi un metro ogni anno e a marzo producono i propri frutti. Non senza fatica si riesce a raggiungere la cima dell’isola dove dal punto più alto si gode una vista spettacolare che spazia a 360 gradi sull’immensa distesa di sale regalando una prospettiva unica che provoca una sensazione ancestrale, e ci riporta ad una dimensione perduta, senza precise misure di grandezza, enorme e minuscola allo stesso tempo.

A circa 20 km di distanza guardando verso nord si scorge la sagoma di un’isola gemella in tutto simile a questa, chiamata la casa degli inca quecha: Isla Incahuasi. Sono oasi di vita in mezzo al deserto, dove vivono anche alcuni esemplari di lama e alpaca portati apposta per richiamare l’attenzione dei turisti ma che ben si sono adattati cibandosi della vegetazione spontanea. Questo ecosistema così speciale non consente molta vita alla fauna selvatica, fatta eccezione per i fenicotteri rosa che popolano, numerosi, le lagune circostanti della regione del Sud-Lipez. La ruta de las joyas altoandinas è la strada dei gioielli altoandini che le collega attraversando il deserto di Dalì, così chiamato per la forma bizzarra dei sui massi che formano un paesaggio surreale che sembra essere opera del grande artista. Davvero impressionanti i colori sgargianti che appaiono attraversando questo tratto di alta montagna, dove le Ande creano ombre scure che sfumano in delicati chiaroscuri e l’aria rarefatta esalta le tonalità più intense. Ogni sosta diventa una tappa obbligata dove non si può fare a meno di fermarsi anche solo per pochi minuti: laguna Blanca, lago Canapa, laguna Chiarkota, vulcano Ollague, laguna Honda e Edionda. Proseguendo il tragitto si incontra anche la laguna Colorada ai piedi del Cerro Negro che si estende per 60 km quadrati ma supera di poco la profondità di 80 cm, dove l’alta concentrazione delle alghe diatomee presenti nelle acque crea una reazione con altri microrganismi e sali minerali producendo una vivace colorazione rossa che varia dal rosa chiaro all’amaranto scuro in un’infinita varietà di sfumature. Il punto con la quota più alta si trova ai piedi del vulcano Licancabur dove si specchia la laguna Verde a 4300 m.s.l.m. e anche in questo caso l’intensità del suo colore turchese è dovuta ai sedimenti che impregnano le sue acque con alte concentrazioni di piombo, zolfo, arsenico e carbonato di calcio.

Percorrendo interminabili strade sterrate create per raggiungere le numerose miniere e portare i necessari rifornimenti, si incontrano le Aguas Termales de Polques : qui nuvole di vapore si alzano dalle pozze fangose in continua ebollizione ed è stata creata una zona balneabile. Ci si può immergere nelle calde acque (fino a 30°) di una piscina naturale chiamata Chalviri. L’energia termica della zona circostante crea un gioco di nebbie e nuvole di vapore che si alzano in enormi fumarole con alti zampilli che prendono forme diverse disegnate dal vento. Il terreno si tinge di colori acidi con tonalità che vanno dal giallo al verde chiaro a seconda della natura chimica delle emissioni e anche l’aria si impregna di odori pungenti. Seppur estrema è un’espressione di vita che si sviluppa nel deserto, è la forza della natura che non riesce a trattenersi e ci ricorda sempre di essere piccoli ospiti su un grande pianeta.

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